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Produzione della birra

In questa sezione vengono trattate le procedure e le tecniche utilizzate nella produzione della birra, dalla selezione dei cereali fino all’imbottigliamento e alla eventuale pastorizzazione.

Gli ingredienti

La produzione della birra prevede l’utilizzo di almeno 4 elementi base (click/tap sul nome dell’elemento):

La birra è composta di acqua per una percentuale compresa tra l’85% e il 92%. A differenza del vino, dove l’acqua viene fornita direttamente dal frutto, nella produzione della birra essa viene aggiunta in quantità utili e sufficienti a poter procedere correttamente alle fasi di preparazione del mosto. Da questo dato si può quindi comprendere facilmente l’importanza che assume la qualità dell’acqua utilizzata durante la birrificazione.

Oltre ad essere batteriologicamente pura e potabile per ragioni strettamente legali, l’acqua deve rispondere a requisiti particolari in base alla tipologia di birra che si intende produrre. La regolazione della durezza, della quantità e tipologia di sali minerali contenuti, sono fondamentali per la buona riuscita del prodotto, sai dal punto di vista organolettico, sia per quanto riguarda la conservazione.

Nella maggior parte dei casi, i birrifici tendono ad utilizzare sempre la stessa acqua per la stessa tipologia di birra, in modo da mantenere uno standard qualitativo; per fare questo, spesso si controlla in birrificio il PH ed il contenuto di sali minerali e di altre sostanze contenute nell’acqua, ad esempio attraverso procedure di declorazione, addolcimento e microfiltrazione. Il rapporto tra acqua utilizzata nelle fasi produttive e prodotto finito, è di circa 3 a 1.

La ricetta tradizionale della birra vuole che si utilizzi l’orzo come unico cereale. In realtà, la birra può essere prodotta con qualsiasi tipo di cereale o mix di cereali diversi , tra cui il frumento, il mais, il riso, l’avena, il farro e la segale. Ad esempio, in Africa si producono birre con miglio e sorgo, in Brasile con le patate e in Messico con l’agave. Sicuramente più conosciute le birre tedesche di grano denominate Weiss o Weizen, oppure le belga Blanche o Wit

I lieviti hanno la funzione di demolire gli zuccheri contenuti nel mosto, trasformandoli prevalentemente in alcol etilico e anidride carbonica. Quelli utilizzati per la produzione della birra sono di due tipologie e appartengono alla famiglia dei saccaromiceti:

  • saccharomyces cerevisiae
  • saccharomyces carlsbergensis

Il Cerevisiae, scoperto da Pasteur nel 1852, è un lievito cosiddetto ad “alta fermentazione”. Agisce a temperature comprese tra 12 e 24 °C e, durante il processo di fermentazione, risale in superficie (da qui il termine “alta fermentazione”). Le birre prodotte con questo lievito vengono denominate “Ale“.

Il Carlsbergensis è un lievito cosiddetto a “bassa fermentazione”, ed agisce a temperature comprese tra 7 e 13 °C. Durante il processo di fermentazione tende a depositarsi sul fondo della vasca (da qui il termine “bassa fermentazione”). Le birre prodotte con questo lievito vengono denominate “Lager“.

Esiste, in realtà, una terza opzione che vede l’utilizzo di microrganismi presenti nell’ambiente, ad esempio nell’aria o nelle vasche di ammostamento e fermentazione. In questo caso il produttore non seleziona uno specifico tipo di lievito, ma lascia che avvenga una fermentazione spontanea. Nella maggior parte dei casi si tratta di un mix di lieviti e batteri indigeni, tra cui Saccharomyces, Brettanomyces e Lactobacillus (batteri lattici). Le famose Lambic sono birre prodotte con il sistema della fermentazione spontanea, in una specifica regione a sud-ovest di Bruxelles, tra i fiumi Senne e Dendre; esse prevedono una procedura che sarà illustrata nella seconda parte del trattato, dove si affronteranno i diversi stili birrari diffusi nel mondo.

Il luppolo svolge una duplice funzione nella birra: conservante e aromatizzante. Occorre peraltro ricordare che il luppolo, con la sua sensazione amara più o meno marcata, contribuisce all’equilibrio organolettico della birra andando a compensare la tendenza dolce del malto, derivante appunto dai processi di maltazione, o maltificazione, dell’orzo o di altri cereali. Il sapore amaro tipico del luppolo deriva da alcuni acidi contenuti nella lupollina, una sostanza presente nelle infiorescenze femmina della pianta del luppolo. L’aroma è invece conferito da alcuni oli essenziali, peraltro molto volatili.

Esistono oramai in commercio moltissime varietà di luppolo (come accade per i vitigni, nel caso del vino), ognuna delle quali in grado di caratterizzare il prodotto e conferire caratteristiche organolettiche specifiche. Nella medesima birra, possono venire utilizzate diverse varietà di luppolo; ad esempio, ci sono luppoli che hanno un contenuto elevato di acidi amari ed un basso contenuto di oli essenziali, utilizzati quindi nelle prime fasi della cottura per poter rilasciare le sostanze amare.

Altri luppoli, al contrario, contengono quantità più significative di oli essenziali e vengono quindi utilizzati a fine cottura per rilasciare le sostanze aromatizzanti, notoriamente più volatili. Di norma, i birrifici acquistano il luppolo già essiccato, in pastiglia o in pellet. Trattandosi di una infiorescenza molto delicata, è anche possibile utilizzarlo fresco purché entro poche ore dal raccolto. Nelle produzioni industriali è abbastanza diffuso l’utilizzo di estratti di luppolo.

Oltre al luppolo, in alcune birre vengono aggiunte altre varietà botaniche, o additivi. La frutta, o il succo di frutta, possono essere aggiunti al mosto, prima della fermentazione, per aromatizzare e per aumentare il grado saccarometrico del prodotto. Alcune birre prevedono l’aggiunta di uva o mosto d’uva, come accade ad esempio nelle Italian Grape Ale (IGA), birre ad alta fermentazione, normalmente crude, prodotte da alcuni microbirrifici italiani; oppure nelle  Lambic, dove è prevista l’aggiunta di amarene e lamponi.

In aggiunta o in sostituzione al luppolo, alcune birre utilizzano tabacco, castagne, canapa o rosmarino. Altre ancora prevedono l’utilizzo delle spezie, tra cui: zenzero, pepe, noce moscata, coriandolo. In Canada e negli Stati Uniti viene prodotta, ad esempio, la birra Sapinette che utilizza legno di abete al posto del luppolo; la Ginger-beer in Inghilterra è aromatizzata con zenzero, mentre la Spruce con gemme di pino.

Le fasi della produzione

La birrificazione, detta anche brassaggio, è il processo produttivo della birra; per una migliore comprensione, esso viene suddiviso in fasi ben distinte, come illustrato nello schema seguente (click/tap sul nome della fase):

Produzione birra

 

Macerazione e germinazione

Questa fase ha lo scopo finale di rendere i carboidrati complessi contenuti nell’orzo o in altri cereali – principalmente amidi – in zuccheri semplici e quindi fermentescibili, che possono cioè essere demoliti dai lieviti.

La cariosside, ossia il chicco del cereale, viene “ingannata” alzando il grado di umidità in essa contenuto e favorendo così la naturale formazione delle radichette. Durante lo sviluppo delle radichette, all’interno della cariosside si attivano alcuni processi enzimatici che saranno poi utilizzati nella fase di ammostamento per la creazione di zuccheri semplici e altre sostanze utili ai processi fermentativi e alla formazione dei caratteri organolettici della birra.

Nella fase di macerazione, il cereale, opportunamente selezionato, pulito e sottoposto a calibratura, viene posto in vasche riempite di acqua a temperatura compresa tra 12 e 15 °C per tre o quattro giorni. Durante questo periodo, l’acqua viene continuamente rinnovata. Terminata la fase di macerazione, in cui si sarà portata l’umidità interna della cariosside intorno al 42-45%, si passa alla fase di germinazione, che consiste nel porre i chicchi all’interno di griglie o tamburi forati rotanti per circa 7-10 giorni, in ambienti ben aerati.

Durante questo periodo – in cui nascono e crescono le radichette fino a raggiungere una lunghezza compresa tra 2/3 e il doppio della lunghezza del corpo della cariosside – si attivano gli enzimi proteolitici e glicolitici, oltre alle maltasi.

Essiccamento, torrefazione e macinazione

Terminata la fase di germinazione, il cereale germinato, chiamato “tallito”, viene sottoposto a essiccamento (o essiccazione) mediante aria calda. L’essiccamento ha lo scopo di abbassare l’umidità interna del chicco. La percentuale di umidità residua all’interno del chicco, e la temperatura dell’aria utilizzata per l’essiccamento, dipendono dal tipo di malto, e quindi di birra, che si desidera ottenere. Si partirà da umidità residue del 8-9% e temperature dell’aria di circa 40°C per i malti chiari, per giungere a umidità residue fino al 20% e temperature dell’aria intorno a 60°C per i malti più scuri.

La torrefazione consiste in una sorta di tostatura, effettuata in appositi forni a temperature comprese tra 85 e 100 °C, in base al tipo di malto che si intende produrre. Per le birre chiare, si tenderà ad utilizzare temperature più basse, mentre per le birre ambrate e scure le temperature di torrefazione saranno più elevate ed i tempi di tostatura più prolungati.

Durante la essiccazione e la tostatura, si creano composti di colore tendente al bruno e modificazioni dell’odore e del sapore, per effetti di caramellizzazione dei carboidrati e per le cosiddette reazioni di Maillard. E’ bene precisare che non tutti i malti vengono torrefatti, ed anche che non tutti i cereali vengono maltificati, come accade spesso per il mais, a cui basta la cottura per attivare i processi enzimatici di trasformazione degli amidi in zuccheri fermentescibili.

Al termine, le cariossidi vengono private della radichetta e conservate fino alla macinazione, dalla quale si otterrà la farina di malto. In questa fase, eventuali malti provenienti da diversi cereali vengono miscelati insieme per ottenere il cosiddetto “grist”. Le miscele possono anche essere formate da un mix di cereali maltati e cereali non maltati, in base allo stile di birra che si intende realizzare.

La farina di malto è quindi pronta per l’ammostamento, e riporta un peso complessivo pari a circa il 75% del peso iniziale dei cereali messi a germinare.

Ammostamento, o saccarificazione (“mash”)

La farina di malto viene mescolata all’acqua, in rapporto di 100 kg di malto per una quantità di acqua compresa tra 200 e 400 litri; questa procedura può essere eseguita per infusione o decozione.

La tecnica della infusione è più diffusa nei paesi anglosassoni e prevede che il malto venga mescolato lentamente all’acqua a temperatura di circa 40°C, portando poi l’intera massa alla temperatura di regime, compresa tra 65 e 68 °C.

La decozione è la tecnica più diffusa nel resto del mondo e consiste nel preparare a freddo l’impasto di farina di malto e acqua, portando poi l’intera massa a circa 50°C; da questa massa, vengono via via prelevate delle porzioni e portate a temperature relativamente elevate (75-100 °C) fino a raggiungere la temperatura di regime di 65-68 °C per l’intera massa. La tecnica della decozione torna utile per quelle tipologie di birra in cui si renda necessario inibire l’azione di alcuni enzimi, tra cui le diastasi.

La saccarificazione, durante la quale il mosto viene mantenuto in agitazione mediante continuo mescolamento, permette la riattivazione degli enzimi glicolitici e proteolitici precedentemente attivati durante la germinazione. I primi scompongono le catene dei carboidrati complessi (prevalentemente amidi) contenuti nel malto, in zuccheri semplici fermentescibili (principalmente maltosio, ma anche glucosio, fruttosio e saccarosio). I proteolitici provvedono invece alla scomposizione delle proteine in elementi più semplici, tra cui peptidi, polipeptidi e amminoacidi che, oltre ad essere in parte utilizzati dai lieviti durante i processi fermentativi, contribuiscono a determinare i caratteri organolettici della birra. Alcuni carboidrati contenuti nel mosto non vengono scomposti dagli enzimi e non saranno attaccati dai lieviti; tra questi, le destrine che, insieme ad alcune proteine, saranno presenti nella birra contribuendo alla formazione della sua struttura, nonché alla stabilità della sua spuma.

Prima filtrazione

Terminata la fase di ammostamento, o saccarificazione, si procede alla filtrazione, ossia alla separazione della parte liquida del mosto dalle parti solide, le trebbie. La filtrazione viene di norma effettuata mediante tino filtro provvisto di falso fondo forato, pompando il mosto dal basso.

Cottura e aromatizzazione

Il mosto filtrato viene cotto in caldaie per un periodo che normalmente varia tra 1 e 2.5 ore, ma che in taluni casi può protrarsi fino a 5-6 ore, in base alla tipologia di birra che si intende produrre. Spesso le caldaie sono costruite interamente in rame, trattandosi di un ottimo conduttore termico; esistono tuttavia caldaie meno costose, realizzate in acciaio inox. Durante la cottura, o bollitura, avvengono le seguenti modificazioni biochimiche e fisiche nel mosto:

  • sterilizzazione
  • concentrazione
  • aromatizzazione
  • formazione del “trub a caldo”

Il “trub a caldo” è un precipitato derivante dalla combinazione tra i polifenoli del malto e del luppolo, e le proteine. Questo precipitato dovrà essere necessariamente separato dal mosto per non compromettere la qualità organolettica e la conservazione del prodotto finale. Sempre durante la cottura, avviene l’aggiunta del luppolo che, di norma, si presenta in quantità comprese tra 120 e 500 grammi per ettolitro di mosto, in base alla tipologia e allo stile di birra che si intende realizzare.

Come già illustrato, nella medesima birra possono venire utilizzate diverse varietà naturali di luppolo, come prescritto dalla ricetta del mastro birraio. I luppoli più ricchi di acidi amari sono aggiunti nelle prime fasi della cottura, mentre i luppoli più ricchi di oli essenziali vengono aggiunti nelle fasi finali, trattandosi di sostanze molto volatili. Alcune produzioni prevedono la luppolatura aromatizzante dopo il termine della bollitura e prima della filtrazione (tecnica hop-back) o addirittura a freddo (tecnica dry-hopping) in seconda fermentazione, oppure prima del confezionamento. In questi casi, si predilige la macerazione di frutti freschi interi appartenenti a varietà di luppolo ricche di oli essenziali.

Filtrazione finale e raffreddamento

Al termine della bollitura, il mosto viene nuovamente filtrato allo scopo di eliminare le impurità prodotte dal luppolo, e il “trub a caldo”. Questa filtrazione avviene mediante l’utilizzo del whirlpool, un tino in cui il mosto viene immesso tangenzialmente creando un vortice in cui le parti torbide si raccolgono, per forza centripeta e per il cosiddetto “teacup effect”, al centro della vasca venendo quindi facilmente separate dalla parte liquida, che rimane così limpida. Il mosto così illimpidito, sterilizzato, concentrato e aromatizzato, viene infine raffreddato spontaneamente fino al raggiungimento di una temperatura di 40-50 °C, e in seguito raffreddato mediante tubi refrigeranti o scambiatori di calore a piastre, che lo abbattono fino alla temperatura corretta di fermentazione (7-13 °C per la bassa fermentazione; 12-24 °C per la alta fermentazione).

Fermentazione primaria, o principale

Al mosto vengono aggiunti i lieviti selezionati che, demolendo le molecole degli zuccheri semplici, provvederanno alla formazione di alcool etilico (etanolo) e anidride carbonica, oltre a diversi composti aromatici e ad altre sostanze secondarie che andranno ad influenzare i caratteri organolettici della birra.

La fermentazione primaria avviene nei tini di fermentazione, detti anche “tank”. I lieviti utilizzeranno, per la loro azione, sostanze già presenti nel mosto come gli amminoacidi ed alcuni enzimi, nonché l’ossigeno che potrà anche essere artificialmente insufflato nella massa in fermentazione. La prima fermentazione può essere di tre tipi: alta, bassa e spontanea.

La alta fermentazione, utilizzata ad esempio per le birre “Ale”, prevede l’impiego dei Saccharomyces Cerevisiae  e viene svolta a temperature medie di circa 18 °C, comunque comprese tra 12 e 24 °C. Normalmente la durata varia tra i 3 e 4 giorni, ma in certi casi può spingersi fino ad una settimana, in base alla temperatura utilizzata e alle caratteristiche che si intendono ottenere nel prodotto finito.

La bassa fermentazione, utilizzata ad esempio per le “Lager”, impiega il lievito Saccharomyces Carlsbergensis (chiamato anche Saccharomyces Pastorianus) e viene svolta a temperature più basse, mediamente intorno ai 10°C, comunque per temperature comprese tra 7 e 13 °C. Per tale motivo, risulta più lenta dell’alta fermentazione, e richiede pertanto un tempo più prolungato per essere portata a termine, mediamente pari ad una ventina di giorni.

Come già anticipato, nelle birre definite “Lambic” viene utilizzata la fermentazione spontanea, che si basa sull’azione di microrganismi indigeni, o selvatici, presenti prevalentemente nell’ambiente del birrificio, nelle vasche di lavorazione del mosto o nei barili di legno, laddove previsto l’uso. Si tratta di un mix di lieviti e batteri, tra cui alcuni ceppi delle famiglie dei Saccharomyces, Lactobacillus e Brettanomyces.

Fermentazione secondaria, o maturazione

Dopo la fermentazione primaria, si procede alla maturazione della birra. Questa fase può essere svolta con diverse modalità, in base alla ricetta del mastro birraio, conseguenza dello stile di birra e delle caratteristiche organolettiche che si desiderano ottenere.

Può essere svolta in serbatoi d’acciaio (tank) chiusi dove la birra, mantenuta in pressione ed a temperature molto basse, prossime agli 0°C, continua la sua fermentazione lentamente, imprigionando l’anidride carbonica prodotta e creando una serie di composti aromatici dovuti, in parte, a processi legati alla trasformazione cellulare dei lieviti. Le basse temperature aiutano la decantazione dei lieviti – che vengono in seguito raccolti – e la chiarificazione della birra.

Un altro sistema utilizza barili di legno. In questo caso, dopo la fermentazione primaria vengono di norma prelevati i lieviti, e la birra viene posta nei contenitori di legno insieme a nuovi lieviti e zuccheri. Si innesca così una sorta di rifermentazione in botte, che solitamente prevede un prodotto destinato al consumo non filtrato né pastorizzato.

Discorso analogo per la rifermentazione in bottiglia, dove il contenitore adibito alla rifermentazione mediante l’aggiunta di lieviti e zucchero, è rappresentato dalla stessa bottiglia di vetro con cui la birra verrà posta in commercio. Anche in questo caso, così come per la rifermentazione in barili di legno, la birra si presenterà con un residuo di lieviti ed altre sostanze secondarie in sospensione, quindi più o meno torbida. Normalmente queste birre non vengono pastorizzate, quindi presenteranno una scadenza più breve e caratteristiche organolettiche differenti. La rifermentazione in bottiglia può anche essere intesa come terza fermentazione, se effettuata dopo la maturazione in serbatoi d’acciaio.

In tutti i casi in cui non è prevista la pastorizzazione, la birra viene definita “cruda” e presenta, in linea di massima, uno spettro aromatico più ampio e complesso.

La fermentazione secondaria, o maturazione della birra, viene comunque sempre effettuata in contenitori chiusi (condizioni isobariche) per non disperdere l’anidride carbonica che contribuirà alla effervescenza e alla formazione della spuma; altro elemento comune è che la fermentazione secondaria è sempre svolta a temperature basse, che facilitano la decantazione dei lieviti e una migliore chiarificazione del prodotto, nonché il discioglimento della CO2. Proprio a causa delle basse temperature, la maturazione della birra ha una durata relativamente lunga, che può andare dalle 2 settimane fino ai 6 mesi, in base allo stile della birra e alle caratteristiche organolettiche desiderate.

La chiarificazione della birra può anche essere agevolata da additivi che contribuiscono alla flocculazione e decantazione dei lieviti, delle proteine e di altre sostanze. Gli additivi possono essere di origine artificiale o naturale, questi ultimi di provenienza animale (es. gelatina) o vegetale (es. estratti di alghe).

Filtrazione e imbottigliamento

Al termine della maturazione e prima del confezionamento in bottiglia, in fusto o in lattina, la birra viene filtrata. Analogamente a quanto accade per il vino, la filtrazione finale può essere grezza, fine o sterile (amicrobizzante), a seconda della porosità dei filtri utilizzati. Si può già intuire dal nome che la filtrazione grezza mantiene alcune piccole impurità nella birra a favore dei caratteri organolettici e della corposità, mentre quella sterile è talmente microscopica che permette di trattenere anche buona parte dei batteri, a scapito della qualità organolettica del prodotto.

La filtrazione può essere eseguita con fogli filtranti monouso che vengono di volta in volta montati sui telai dei sistemi filtranti, oppure mediante filtri a polvere, ossia sistemi che contengono farine fossili o perlite, in grado di trattenere le particelle di impurità sospese nel prodotto (adsorbimento).

L’imbottigliamento e l’infustamento, così come il confezionamento in lattina d’alluminio, vengono eseguiti mediante apposite macchine riempitrici isobariche, che permettono quindi di non disperdere l’anidride carbonica contenuta nella birra.

Occorre infine ricordare che la filtrazione non viene eseguita per le birre rifermentate in bottiglia, come facilmente intuibile.

Pastorizzazione

Premettiamo che, così come la filtrazione, anche la pastorizzazione non viene eseguita nelle birre rifermentate in bottiglia. Per le birre artigianali prodotte dai microbirrifici, la tendenza è quella di non eseguire la pastorizzazione in ogni caso, indipendentemente dalla tipologia di birra. Questo non solo per ragioni economiche, ma anche perché la pastorizzazione, per quanto presenti aspetti positivi come la sterilizzazione del prodotto, l’allungamento della data di scadenza, ed una maggiore stabilità nel tempo dei caratteri organolettici, comporta anche una modificazione di profumo e sapore che, in molti casi, snatura le peculiarità del prodotto. Le birre pastorizzare tendono ad avere caratteri organolettici più standard ed una minore ampiezza aromatica a causa della volatilizzazione o della ricombinazione di alcune sostanze aromatiche.

La pastorizzazione viene effettuata a circa 60 °C per un certo tempo prestabilito; può essere eseguita a pioggia mediante pastorizzatori a tunnel (birra industriale), sulla birra già imbottigliata e prima dell’etichettatura; oppure prima del confezionamento, mediante piastre a scambiatore di calore.

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